08 Nov Recensioni – Pietà
Pietà, Antonio Galetta, Einaudi, pag 272, 18 eu
C’è una connotazione personale del meridione, senza immagini aprioristiche e senza giudizi; c’è una scrittura solida e autonoma che trasforma l’inganno letterario in dinamica nota – una soglia realista e onesta – in Pietà, esordio del ventisettenne Antonio Galetta, cresciuto a Ceglie Messapica e oggi dottorando a Pisa e alla Sorbona, pubblicato da pochi giorni nella collana Unici di Einaudi, attenta alle voci più innovative. La scintilla narrativa scocca nell’atmosfera lenta di un paesino in cui «la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia» si riattiva quando, in una roadhouse alla buona, il venticinquenne Tommaso, annuncia la nascita di una nuova lista civica: Casa Dolce Casa, con cui il giovane si presenterà alle elezioni comunali, coinvolgendo nella campagna elettorale i soggettoni del paese. L’assenza di macchiette e di denotazioni riconoscibili, ha il pregio di narrare una vicenda, in ipotesi non originale, con la voce di un “noi” grottesco eppure peculiare. Una scelta che fa del discorso letterario di Galetta un esempio ben riuscito di commistione strutturale e stilistica contemporanea. I piani si intrecciano e si confondono con abilità. Il tempo e lo spazio non hanno indicazioni precise e la storia di Tommaso spesso cede il passo alla cronaca, rivisitata per scopi letterari dall’autore. «Di questi tempi, intorno alla vita a cui siamo abituati, fatta di accordi, negoziati, compravendite e pastette, c’è anche la vita che cambia negli uliveti seccati, nei mari abbassati, nelle specie viventi che con lentezza e neutralità si adeguano a ogni cosa. È la vita che vive, e noi le voltiamo le spalle per funzionare: fingiamo, per non estinguerci, di trovarci ancora e per sempre nel mondo di ieri, e intanto mostriamo le zanne all’altra parte della vita, quella che sappiamo amministrare e conosciamo per davvero.» In una Puglia evocata nella maledizione della Xylella, Pietà mette in discussione il presente, i costumi umani balzacchiani, l’esuberanza di un’esistenza fragile e impietosa.
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