Recensione | Gianni Montieri, Ampi Margini, Liberaria
16572
post-template-default,single,single-post,postid-16572,single-format-standard,bridge-core-2.4.7,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode-theme-ver-23.5,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-6.5.0,vc_responsive

Recensione | Gianni Montieri, Ampi Margini, Liberaria

Liberaria, 200 pp, 15 euro

Tutto si ritrova nell’occhio di Gianni Montieri, una sorta di retroguardia in cui sta la sua comprensione del mondo. Tornato in libreria con Ampi Margini Montieri, rispetto al precedente, Le cose imperfette, allarga l’orizzonte e mette insieme versi, frammenti, microfiction sperimentali, creando un reportage lirico e crudele, poetico. 

Il libro è suddiviso in dieci aree tematiche che spaziano tra ricordi, luoghi, fatti di cronaca, ispirazioni letterarie, storie personali, amore e morte. Il tema del (non) ritorno unisce anche gli spigoli più privati. Ne parla nelle note finali l’autore: “L’idea è stata quella di portare a termine un lavoro e un viaggio, e che nel vagone prendesse posto il perdono.” Il viaggio passa dai luoghi, prima di tutto. Milano, Venezia, Parigi, Roma, Napoli, Torino e il suo paese natale, Giugliano. “Ho questi luoghi a far da conta/ il tempo inesorabile, la cronaca/ nessuna traccia, transito/ nelle pagine di storia.” 

Paesi suoi osservati nel momento in cui sono immobili, mentre il poeta è in movimento: a volte su un precipizio, altre in case mai abitate, spesso dentro rarefazioni quotidiane che diventano la cifra stilistica di ogni verso. E se le città sono fisse, le cose invece si muovono. Si spostano da sole, spostano illusioni. “E mi piacciono le parole/ con le parole do i nomi alle cose/ allora dopo le so le cose/ imparo dove metterle/ dove sta la bottiglia e dove l’attaccapanni./ Amo Guadalquivir/ nome proprio di fiume/ suona liquido, d’acqua/ più di tutte mi piace/ la parola ghiaccio, secca la gola.”

L’influenza di Giovanni Raboni si affaccia nell’eleganza marginale delle immagini, come fotografie che mettono a fuoco, involontariamente, dettagli che l’occhio nudo scansa. È li che si posa la voce di chi voleva andarsene dalla difficoltà densa di quotidiano. Andarsene per sognare di essere ovunque e in nessun luogo. L’ambiguità della morte e della vita, del dolore e della gioia rappresentano la tensione massima di quel pensiero che non va né avanti né indietro, un elastico che tira dentro uno spazio e un tempo che può toccare solo per qualche secondo.  

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.