13 Mag Recensione | Raffaele Cataldo, Di me non sai, Accento Edizioni
Accento Edizioni 2024, pag. 224, 16 eu
Quanti cuori ha una storia d’amore? È la domanda sottesa al magnetico esordio di Raffaele Cataldo che impreziosisce le scoperte letterarie di Accento Edizioni, sotto la guida di Matteo B. Bianchi. Si potrebbe coniare un’espressione perversa e fragile, come tale è la storia narrata, e dire che racconta un’ultrastoria d’amore. Non “ultra” come al coinvolgimento degli ampi margini sessuali del poliamore (e meno male). “Ultra” in quanto la lettura di questa storia suggerisce la sensazione che amare qualcuno comporti una dispersione naturale del sé. Una moltiplicazione oltre i freni del corpo e dell’anima. È ciò che spinge, un giorno, Lucio a irradiare d’amore Davide, un pendolare che fa avanti e indietro dal paese alla città, Bari. Vista finalmente nella sua liminalità, tra i confini ferroviari che in un batter d’occhio collegano le vetrine scintillanti del centro all’aperta campagna dei dintorni, sotto il beneplacito del sorrisone reiterato di Moira Orfei sui manifesti scorticati. Bari luccica facilmente per poi spegnersi e scomparire altrettanto presto. È lo scenario che sublima la storia tra Lucio e Davide che nel giro di pochi giorni diventa la fame e la sete, la malattia e la guarigione, la luce e il buio. Cos’è tutto questo buio?, si chiede a un certo punto la voce narrante in terza persona che si appoggia, alternando trame e punti di vista, una volta su Lucio e l’altra su Davide. È la questione cruciale del romanzo, quella piccola insignificante ferita che diventa cicatrice. Non se ne va. Di me non sai racconta senza filtri cosa fa godere e cosa fallire una storia d’amore legata alla paura, all’attesa e all’istinto carnale dei vent’anni. Un sentimento figlio di un immaginario che viene da Un amore di Buzzati passando per le Camere Separate di Pier Vittorio Tondelli e i Meno di Zero di Bret Easton Ellis. L’amore come ossessione e la letteratura come maledizione di un sentimento scorretto e intenso, in cui le parole si dimenano a volte come stelle cadenti, altre come molotov dentro le tasche. Restano i gesti esausti, i corpi appagati, la gioventù che manca a sé stessa tra le macchie incolte di una Puglia, rifugio autentico senza cornici di cartapesta.
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