Recensione – Prigioniero in culla, Christian Bobin, AnimaMundi Edizioni
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Recensione – Prigioniero in culla, Christian Bobin, AnimaMundi Edizioni

Prigioniero in culla, Christian Bobin, AnimaMundi Edizioni, 96 pag, 13 eu

Francia centrorientale, anni ’60. Christian Bobin è un bambino che cresce in una città metallurgica («Nessuno sogna di vivere a Le Creusot, è una disgrazia»), dove la fabbrica è scenario di vita e di morte quotidiane. Spesso resta con il nonno, rimasto solo da quando la moglie è internata («Tua nonna sta coi matti»); i genitori assenti per il lavoro, dispersi nella ricostruzione della Francia e di sé. La solitudine sviluppa la sua capacità di immaginare altri cieli sotto la testa. Fantasticare è il tratto che accomuna l’esperienza infantile di reclusione, come suggerisce il titolo dell’opera. «Bevevo silenzi, mangiavo cieli blu.» L’infanzia si riempie di attesa e misticismo inconsapevole e connoterà la poetica del Bobin adulto. “Prigioniero in culla”, pubblicato in Francia nel 2005 e tradotto oggi da AnimaMundi, che si occupa da anni della produzione letteraria dell’autore francese, racconta la sua vocazione artistica come fosse un testamento d’autore. «Sogno che il bene s’imponga come il male». Si dice: scoperta un’infanzia, scoperto uno scrittore/scrittrice. Da quella alienata di Bobin nasce una voce che non allude né all’egocentrismo né al narcisismo meditabondo. Piuttosto è una guida esperienziale per radicarsi in ciò che abbiamo nel presente, tralasciando ciò che non c’è più (il passato) o non c’è ancora (il futuro). Bobin è un alchimista del pensiero che si fa parola, un narratore generoso e spericolato che reagisce alle ferite personali trasformandole in sentimento universale. Dotato di una sensibilità rara, mai moralista, se in qualcosa straripa questa è la straordinarietà delle piccole cose. Una visione che per la maggior parte delle persone termina con l’infanzia. Per i poeti no. «Ho sempre dovuto la mia vita a quanto vedevo di puro. Se sapessimo guardare a ciò che è reale in ogni singolo giorno che viviamo, cadremmo in ginocchio davanti a tanta grazia.» Chi crede che la letteratura sia la manifestazione umana di un fiore nel deserto, troverà questa breve autobiografia dell’infanzia una lettura ispirante.

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