Recensione – Insegnare a nuotare a una foca, Leonardo Piccione
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Recensione – Insegnare a nuotare a una foca, Leonardo Piccione

Insegnare a nuotare a una foca, Leonardo Piccione, Utet, pag 224, 17 eu

Dopo due apprezzati romanzi, Leonardo Piccione ritorna nell’ambientazione prediletta, l’Islanda, cimentandosi con la non fiction. Insegnare a nuotare a una foca è un saggio speculativo che viaggia sui binari dell’autofiction. L’occasione nasce dall’intensa fascinazione per il territorio vulcanico e le atmosfere nordiche. «In capo a pochi anni, da adempimento di una curiosità prettamente naturalistica il mio rapporto con l’Islanda è mutato in preferenza esistenziale, e a un certo punto non ho potuto evitare di confrontarmi con lo spauracchio della lingua locale – che ancora stento ad ammansire.» La scoperta del territorio è il primo livello di lettura. Il cuore risiede in un’avventurosa esplorazione della lingua e della grammatica primaria islandesi come espressione di un’umanità minoritaria e alternativa alla dominante. Perché scoprire una lingua che Piccione ha difficoltà a usare, pur vivendo lì da 7 anni? Basta una parola: folgorazione. Il libro è una folgorante speculazione antropologica sul confine tra pensiero e percezione; tra l’istinto conservativo e l’energia vitale di un altro possibile modo di vivere. «Elenco parziale delle cose che non vedrete in Islanda: serpenti, zanzare, McDonald’s, Apple Store, forze dell’ordine armate, caselli autostradali, birre con grado alcolico superiore al 2,25 per cento nei supermercati, lucertole, treni, ombrelli Tra le tante, si scopre che l’islandese è una lingua piena di sorprese e modi di dire irresistibili. Tra cui il titolo. «Non serve insegnare a nuotare a una foca. Una cosa che le foche sono in grado di fare ancor prima di essersi scolate le loro spiagge è nuotare, dunque insegnarglielo è del tutto inutile.» Il linguaggio è una scusa per ragionare intorno al tema del confine, dell’accoglienza, della diversità. Ci si emoziona per il valore filosofico di un viaggio nell’umanità nordica come altra possibilità rispetto a quella più performante latina. Una lettura che dimostra che non può esserci crisi della narrazione se ci sono storie di luoghi osservati nella grazia naturale dell’universo.

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