08 Mar Prima delle condoglianze di Alessandra Campanile – Dopolavoro letterario n. 73
Quante storie può contenere un racconto? Una. Soltanto una, ma prima di arrivare a qull’unica storia dentro un racconto, bisogna attraversarne centomila, perfino nessuna. Alessandra, da quando ha cominciato un anno fa a lavorare alla sua scrittura e in particolare ai suoi racconti, aveva in testa un’idea e non ha mollato fino a quando quell’idea ha preso la forma di una storia, la sua. Eccola, con grande orgoglio per una donna che spia sé stessa per osservare meglio il mondo.
Buona lettura!
Prima delle condoglianze
Di Alessandra Campanile
Entrò dal lato sinistro, quello riservato ai parrocchiani. Non voleva che si notasse il ritardo. Pioveva forte. L’ombrello non era bastato a evitare che i capelli si inzuppassero. Così quando entrò in chiesa era già fradicia, in lacrime dappertutto. In un certo senso perfetta per quel funerale.
Si sedette e cercò subito Mario con lo sguardo, era al primo banco accanto alla bara della madre, la maestra Domenica, catechista di Anna. Era scomparsa prematuramente lasciando di sé il ricordo di una donna accogliente, prodiga nell’invitare i bambini a casa nei pomeriggi di giochi e di preghiera. Nel suo salotto Anna aveva conosciuto Mario, erano diventati amici presto e Anna aveva proseguito a frequentare la casa della maestra Domenica una volta adulti.
La Chiesa era piena, anziane ripiegate su litanie e bambini dediti al saliscendi dall’inginocchiatoio. Con lo sguardo cercò con speranza, fino a quando non lo vide. Ettore era in fondo, alla destra di Santa Rita da Cascia. Glielo aveva presentato Mario in pizzeria mesi addietro: un colpo di fulmine, che Anna aveva la sensazione lui ricambiasse. In tema dei sentimenti aveva maturato la presa di posizione che dopo i quarantacinque ci si deve sistemare e smettere di giocare. Eppoi, per esperienza, che andare a letto al primo incontro privava di interesse l’uomo, facendo invece innamorare lei. Un doppio imbroglio. Per cui: “O rispetta i miei tempi o ciao” – e la chiudeva a slogan, per quanto continuasse a collezionare solo ciao. Vederlo in chiesa, fu per Anna il segno che aspettava dalla Provvidenza per parlargli, magari proponendogli un appuntamento, desiderio che affidò alla Santa protettrice delle cause impossibili sgranando il rosario in tasca.
Al termine della benedizione, si strinse nel cappotto umido e si spinse controcorrente rispetto alla gente diretta verso Mario per le condoglianze. Scostò una ciocca fradicia dalla fronte, la ripiegò dietro l’orecchio e rimpolpò le labbra per spalmarsi meglio il residuo di rossetto. Recuperò una mentina e inspirò una, due, tre volte per tenere a bada il cuore nell’avvicinarsi a Ettore, che era in attesa di abbracciare l’amico. Con i polpastrelli gelidi sfiorò la mano dell’uomo spingendosi su verso la guancia con un bacio rapido. Commentò la cerimonia in un susseguirsi di luoghi comuni sulla morte e l’essenzialità del tempo, con un accento marcato sul valore dei legami. Non riusciva a dirgli condoglianze, e nessuna verità. Parlò di morte e di separazioni in generale, la vita unisce e divide, sono passaggi obbligati. Ettore restò in ascolto incantato dalla voce che gli arrivava diretta agli occhi per quel rosso rubino della bocca che lo invitava a morderla. A ogni parola di Anna corrispondeva una voglia di toccarla. Un’intesa che si bloccò nel sorriso che Mario lanciò a entrambi. Lo stesso sorriso che qualche settimana prima aveva rivolto a Ettore mentre davano i voti alle donne del gruppo in base alla facilità con cui portarsele a letto, come da tradizione del pagellino universitario. Tutte con voti alti, a eccezione di Anna che a detta di Mario non la dava mai. Punto questo che lasciava perplesso Ettore che per natura tendeva a pensare poco e a prendere le cose della vita a suo vantaggio. Lavoro, amici, donne. Quest’ultime andavano provate come le auto. Non te la compri, se non ci hai fatto un giro. L’amore, poi, poteva arrivare per quantità di giri, intensità e assenza di rotture. Come poteva non arrivare mai, ma ciò non avrebbe reso la vita meno interessante.
Al secondo tocco delle dita ghiacciate, Ettore si irrigidì e ricambiò il contatto di Anna, non senza aver notato l’asola aperta del cappotto che lasciava intravedere una camicia trasparente. Quel contatto incoraggiò Anna e, nello schiarirsi la voce, gli propose un drink dopo le condoglianze. Ecco, l’aveva detta la parola condoglianze, la verità. Ettore immaginò la scena. Era chiara: Anna alla sua destra e lui deciso sul vino dodici gradi da ordinare prima di scopare.
“C’è un locale nuovo qui a pochi passi, dove possiamo parlare. Che dici?” – Anna provò a impostare l’incontro, quasi a proteggersi.
La pioggia si fece leggera e cedette spazio al petricore in evaporazione dall’asfalto. Il grigio si disperse, il cielo appariva schiarirsi e da un varco un bagliore avvolse il feretro: la raccomandazione della maestra Domenica a fare i bravi in sua assenza. La folla si diradò verso ritmi quotidiani e sembrò che la chiesa rientrasse nella dimensione ordinaria di quartiere.
Ettore indugiava sul viso di Anna. Quanta speranza nel suo sguardo, quanta bellezza nel rimmel colato. Estrasse dalla tasca un fazzoletto di lino per tamponarle qualche goccia dalla fronte e con una carezza scivolò fin giù al mento. Il suono di un clacson segnò il tempo. Anna trattenne il fazzoletto da cui le arrivava l’aroma di lavanda mista a tabacco. Ettore le sorrise ma scusandosi con un “perdonami, ho lasciato l’auto in seconda fila”, senza condoglianze scivolò via dal sagrato della Chiesa.
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