Il campo è aperto – Pulsatilla
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Il campo è aperto – Pulsatilla

Il campo è aperto, Pulsatilla, Baldini+Castoldi, pag 180, 18 eu

Dopo 15 anni Valeria di Napoli torna in libreria. Ha mantenuto il nome d’arte, Pulsatilla, per reincarnarsi in se stessa. Senza freni. Il campo è aperto è un memoir, toccante, in cui la scrittrice fa visita alla sua vita. L’io di ieri affianca quello attuale, muovendosi come un angelo custode raffinato e umile. È incapace di vendicarsi. Nonostante gli amori tossici, il gelo materno, le psicosi del padre, il rifiuto del corpo e del cibo e perfino incapace di mandare al diavolo il mondo editoriale: specchio deformante di una gioia crudele. «Io so benissimo di non essere cattiva, ma mi piace, di tanto in tanto, mettere la mano in borsa e sentire la boccetta di pulsatilla tintinnare in mezzo alle chiavi.» Quando tutto per Valeria sembra perduto, solo la scrittura resiste e si autorigenera come una fede. «Scrivo, scrivo, senza intelletto né progetto, senza sentire la fatica; concentrata, come nel parto, e aperta, con i rubinetti tutti girati.» Si pensa che il pudore letterario sia legato al corpo esposto al pubblico ludibrio. Invece l’ostentazione del corpo, ferito o godereccio, è naturale. La vergogna dentro una storia è non nascondere la testa nella sabbia. È nella testa che l’esistenza si annida e i conti non tornano. È qui che l’amore crea e distrugge, la solitudine si manifesta in una stanza affollata. Pulsatilla mette a nudo la sua testa, con un montaggio non cronologico: in una pagina è una bambina, che impara la bella calligrafia; nella successiva è una madre apprensiva; nell’altra una figlia più accudente dei genitori. Nel mezzo ci sono due ambientazioni principali: la Puglia (presente nelle consuetudini familiari in cui l’apparenza vince sull’essenza) e Roma (spudorata, bella e deludente come chi ha troppo amore e non ne ha mai abbastanza). Viviamo con Pulsatilla un tempo sentimentale che se ne frega – per fortuna – del verosimile e intercetta l’autenticità della finzione narrativa. Il flusso di coscienza fatto di rimandi, ellissi e frammenti rapsodici dà il garbo letterario a una storia che non appartiene solo a chi l’ha vissuta. Con la quiete di un vulcano, Pulsatilla lascia un’impronta tenace di classe e di inconsolabile autoironia.

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