“Le montagne hanno gli occhi verdi” di Ilaria Amoruso #dopolavoroletterario n. 3
2011
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“Le montagne hanno gli occhi verdi” di Ilaria Amoruso #dopolavoroletterario n. 3

Apprezzo molto la sobria malinconia con cui Ilaria Amoruso racconta questa storia, senza sbavare o eccedere. Questo suo controllo narrativo invece di ridurre l’effetto drammatico, lo amplifica.E rende Ilaria un’autrice fantastica. Il lessico ben curato, le sinestesie dell’anima, fanno di Dante (protagonista della storia) un eroe memorabile.  Questo romanzo  mi fa pensare a una scatola cinese. Sia nel modo di procedere  sia nel tipo di storia. Una storia in cui il Male non è mai retorica ma strumento di narrazione. Una volta terminato, questo romanzo, illuminerà non solo chi l’ha scritto ma anche chi lo legge. (L’immagine è del geniale Mark Ryden)

LE MONTAGNE HANNO GLI OCCHI VERDI

di Ilaria Amoruso

Patrizia è nuda nel mio letto. Il suo libro preferito, una copia ingiallita, rovinata e mutila, del Principe di Machiavelli è adagiata sul cuscino. È intenta a leggere e mi lascia ammirare la sua schiena candida sulla quale poggiano con delicata perfezione i capelli corvini. Rami morbidi e vellutati di un albero che ricadono sino al bacino e attirano il mio sguardo, simile ad una falena alla ricerca della luce. Mi brucio e muoio, mentre mi avvicino e soffio per farli ondeggiare. Ipnotizzato, lei mi osserva con aria curiosa. Non ricordo quando è stata l’ultima volta che mi sono guardato con attenzione. Non sono uno di quegli uomini che si guarda allo specchio per toccarsi il viso, contare il numero di rughe o controllare lo stato della barba. La mattina non faccio mai caso a quel me, appeso lì sul lavandino, che mi guarda addormentato e spaesato. So che ci sono e mi lascio stare: sospeso, intrappolato, circondato da contorni arrugginiti.
Patrizia è indecisa, un pensiero attraversa i suoi occhi profondi nei quali è facile  lasciar cadere  la carne, i muscoli, le ossa, per arrivare al midollo, all’anima e perdere tutto. Le sorrido e lei mi posa una mano sulle mie: si sfregano lentamente una con l’altra, in una danza infinita. Si china verso il comodino e dalla borsa verde con i manici intrecciati in cuoio, prende uno specchietto con bordature bianche, molto semplice. Devo assolutamente vedere, mi dice. La sua voce non lascia scampo e addolcito ancora dall’idea dei nostri corpi uniti e sudati a stropicciare le lenzuola azzurrine comprate a poco prezzo, mi specchio. Il mio riflesso è inghiottito dai pensieri che sanno di soldatini, armadi in legno e luce offuscata dalla polvere. Cristalli verdi lambiscono i confini di una stanza oscura e lontana, costernata dai punti neri dei pori. È  una landa sconosciuta e deserta che continua a risucchiarmi giù nel suo tunnel.
Devo assolutamente vedere un dettaglio che non vedo. Patrizia me lo indica, accarezzando la mia guancia sinistra e andandosi a fermare sotto l’orecchio. Sento la pressione delle sue dita leggera. I mondi del mio inconscio ritornano a sintonizzarsi sugli elementi che compongono Me Stesso.
Signori e signori, Me Stesso ha una fronte, un paio di occhi, un naso e anche una bocca! L’attrazione del giorno ci mostra un esemplare di maschio sulla trentina con un nuovo particolare: un piccolo bozzo a sinistra, tra l’incavo del collo e l’orecchio. Una pallina da tennis rotonda e smussata. Delicata, se la sfiori.

2

Driiiiin. La campanella della scuola suona e tutti cominciano a saltare, a correre, a lanciarsi le penne invece di metterle nell’astuccio come dice la maestra Genna. Le mie orecchie fanno iiiiii e mi fa male sotto il petto.  Tonio e Andrea, i miei compagni di banco,  hanno gettato il mio quaderno di matematica per terra e  io devo prendere la matita di Tonio e cercare di buttarla nel cestino vicino alla porta della classe. Altrimenti Tonio mi dice che sono una femminuccia. E io non sono una femminuccia. Non si frigna e i compagni si coprono sempre. Così dice Tonio, così faccio io. Non posso portarmi le mani alle orecchie perché poi sarei un fifone, come quando ho pianto dopo che Francesco era stato spinto per terra da Tonio. Mi hanno detto che sono un fifone e i maschi non piangono come le femminucce. Driiin. La campanella numero cinque fa driiin e io vorrei solo coprirmi le orecchie ma non posso. Come ogni giorno devo correre con gli altri e tornare a casa, facendo a gara a chi corre più veloce. Ma io quando corro sento solo iii e non smette mai. Ho provato anche a dirlo alla maestra Genna ma lei non mi ha creduto. Dice che i bravi bambini non dicono le bugie e nessun bambino può sentire iii nelle orecchie quando corre verso casa. Io le ho detto che non sono un bugiardo e non sono nemmeno una femminuccia. Sono un maschio come Tonio e ho detto la verità. Le mie orecchie fanno iii e mi fa male sotto la faccia. La maestra Genna ha detto che non si dice sotto la faccia, che quello è il petto, mi fa male il petto. Così ogni volta che quella campanella fa driin io salto sulla sedia imitando Francesco, Tonio, Andrea, Marco e li guardo sorridendo, lanciando una matita o un colore. Lo ripeto ogni volta che suona e le mie orecchie fanno male, le conto le volte come ha detto di fare la maestra Genna. C’è la uno. Arrivo a scuola e lei suona tante volte e tutti ci sediamo e mettiamo i libri sul banco. C’è la due e facciamo la matematica ma io non riesco a contare bene, allora la maestra Genna si siede vicino a me e mi aiuta con le mani. C’è la tre e facciamo la merenda. C’è la quattro e mi fa male sotto la faccia, il petto, mi guardo attorno perché non vorrei che Tonio capisse e mi vedesse fare le smorfie. Rimango in silenzio e aspetto la cinque. Tutti corrono e si agitano e io devo correre e agitarmi perché non sono una femminuccia. Devo prendere il quaderno di Andrea o di Marco e buttarlo a terra, così Tonio mi fa l’occhiolino e non sono una femminuccia. Devo mettere tutto in cartella senza sistemare le penne nell’astuccio come ci dice la maestra, e lasciarla aperta e andare verso la porta insieme agli altri. Devo seguire Tonio nel cortile, anche se mi fa male il petto e corro tenendomi le mani addosso. Le orecchie mi fanno ancora più male e sento solo iiiiiiiiiiii e non capisco cosa gli altri mi dicano, li seguo fuori dalla scuola.
Mi fa male e sento iii. Io e Andrea corriamo verso casa. Facciamo a chi arriva prima all’inizio della strada dove viviamo, continuo a sentire iii nelle orecchie. Lui abita prima di me, mi saluta e sparisce. Io invece non ci torno a casa, vado via. Non ci voglio passare da quella porta grigia e salire le scale, le orecchie fanno iii sempre più forte e mi fa così male il petto che non posso prendere aria. Ci sono delle montagne davanti a me e la maestra Genna ha detto che è pericoloso scalare le montagne e io non posso finire giù. Se finisco giù, il mio fratellino Hermes, resta da solo,  lui che mi rincorre sempre per giocare con me con i soldatini di ferro e fare la battaglia navale. Dice Daaaaaan quando mi vede ma lui non sa che ho scalato tante montagne per arrivare a casa. Lui le montagne non le vede, batte solo le mani felice come fanno Tonio, Francesco, Marco e Andrea quando sentono la campanella fare driiin. Mi porta sempre un soldatino o un disegno fatto da lui davanti alla porta grigia e vuole che gli dico che sono belli e lui è stato bravo, e batte le mani da capo. Lui non lo sa e non lo dico perché non sono una femminuccia ma torno solo perché sorrido anche io quando batte le mani e cammina in quel modo buffo verso di me e spalanca gli occhi.

Resto nella piazza ad aspettare che Tonio e Andrea vengano a giocare con me. Faccio i compiti per terra e passo da Gino, il panettiere, che mi regala un pezzo di focaccia. Mi siedo sui gradini della piazzetta e guardo il mare che sta di fronte, e immagino Hermes che mi aspetta e batte le mani per farmi vedere il nuovo disegno che ha fatto o il nuovo soldatino che ha trovato. E allora vorrei frignare ma non posso, e aspetto, tanto il buio arriva sempre e devo tornare dalle montagne quando il buio arriva, devo andare nella bottega di Nicola, mio padre.

Nicola dice che ci posso stare solo io nella bottega, mio fratello è troppo piccolo, romperebbe tutto,  il legno è delicato,  deve essere curato. Io faccio quello che mi dice, altrimenti le montagne diventano ancora più brutte. Nicola mi lascia toccare il legno che ha nella bottega. Il legno non puzza come le montagne, è dolce, mi piace. Prendo un pezzetto e me lo tengo in tasca e mi siedo nel mio angolino. Lì devo aspettare che lui lavori e ogni tanto mi fa avvicinare per aiutarlo. Accanto a lui ci sono molte montagne ma non le vede, le sento che puzzano ma non posso andarmene, si arrabbiano. Nicola dice che il legno è una cosa vivente e deve essere pulito e lucidato, che è silenzioso e sa mantenere i segreti. Ma se parli e riveli i segreti del legno a qualcuno o ai tuoi amici, allora il legno si trasforma e ti fa del male, e poi non vuole più essere toccato da te. Il legno è tuo amico ma non puoi tradirlo, così ripete sempre Nicola. Io lo ascolto mentre le montagne mi guardano e mi fa male il petto e mi viene da frignare, ma non posso, non sono mica una femminuccia. Non posso tornare a casa e far vedere a Hermes che sono una femminuccia, io sono il capitano dell’esercito e i capitani non frignano davanti ai soldatini. Nicola mi ha detto di rimanere nella bottega e di aspettarlo. Deve comprare della colla. Lo aspetto in silenzio nel mio angolo, e gioco con il pezzetto di legno che ho rubato dal pavimento, vicino al tavolo. La bottega di Nicola è piccola, il legno è per terra. Hermes voleva venire ma mamma non lo ha permesso. In questo posto ci posso entrare solo io. Hermes è troppo piccolo, dice mamma. Hermes ha pianto ed è corso a prendere un soldatino. Era il capitano, quello che muovo io. Me lo ha dato e poi mi ha fatto uno dei suoi sorrisi. Ha detto che mi aspetta così poi possiamo giocare insieme. Sto facendo volare il soldatino sul pezzetto di legno. Il capitano vola, vola in alto e poi precipita sul pavimento. Le montagne non sono ancora arrivate ed è tutto così chiaro. Non posso andare da Tonio a giocare a pallone perché devo restare qui. Non posso muovermi e devo mantenere i segreti del legno. Lui mi piace, lui è silenzioso.
Quando Nicola torna, tornano le montagne. Gli stanno tutte intorno ma lui non le vede. Si mette seduto dietro il tavolo e prende la colla dalla busta. Dice che la colla serve per incollare le gambe alla sedia di legno che sta facendo. Dice che è in legno ciliegio. Io non rispondo perché a Nicola non si risponde. Devo rimanere nel mio angolino. Nicola incolla un pezzo lungo di legno alla sedia. Dice che inserisce la gamba nel buco sotto il pannello. Io lo guardo e capisco che deve mettere quattro pezzi nei buchi. Così diventa una sedia. Ho ancora in mano il mio soldatino e il pezzetto di legno. Li nascondo nella tasca dei pantaloni. Nicola non vuole che mi metto a giocare qui. Ma questo soldatino me lo ha dato Hermes e devo riportarlo da lui. Così potremo portare in guerra il nostro esercito.
Nicola mi chiama. Lo guardo in silenzio. So che quando mi chiama devo andare da lui. Nicola mi chiama ancora, vuole che prendo il pezzo di legno e lo aiuto a incollarlo. Mi dice di alzarmi. Mi alzo e con la testa bassa vado da Nicola. Prendo il pezzo di legno e lui ci mette sopra la colla, poi me lo fa mettere al suo posto. Mi dice di rimanere fermo ma io non voglio stare lì perché le montagne sono sempre più vicine e  inizio a sentire iii nelle orecchie. Mi viene da frignare come una femminuccia. Le montagne mi chiamano, hanno la voce di Nicola. Mi fissano, hanno gli occhi verdi di Nicola. Mi manca l’aria, potrei morire. Ma se muoio non posso ridare a Hermes il soldatino e non possiamo giocare insieme. Il pezzo di legno mi cade dalle mani. Le montagne mi schiacciano.

Quando esco dalla bottega mi hanno schiacciato tutte le braccia, ma non posso frignare come una femminuccia, devo tornare da Hermes e dobbiamo giocare. Sono il suo capitano, ferito nella battaglia.

(#dopolavoroletterario è una rubrica riservata a tutti quelli che hanno seguito uno dei miei corsi. Per partecipare basta inviarmi un tuo lavoro, magari frutto di quello svolto insieme. Per conoscere le novità in arrivo, scrivimi o iscriviti alla mia newsletter.)

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