26 Mag “Caffè, segreti e bugie” di Marina Lorusso #dopolavoroletterario n. 5
Marina Lorusso ha frequentato un mio corso, tempo fa, e già da allora aveva in mente questa storia. La storia di una macchina (da caffè) che ha sentimenti umani in un contesto (lavorativo) in cui invece gli esseri umani hanno ben pochi sentimenti. Questo è l’incipit del romanzo al quale l’autrice lavora da tempo e al quale auguro un luminoso cammino editoriale. Leggetelo. (L’illustrazione viene da qui).
CAFFE’, SEGRETI E BUGIE
di Marina Lorusso
Lidia mi sta aspettando. Si tratta del nostro rito: ogni mattina ci godiamo il caffè in santa pace, lontano da occhi indiscreti e dalle scartoffie, prima che arrivino gli altri. Lidia è sempre puntuale e questa sua precisione mi fa sentire in difetto. Lavoriamo da diversi anni in banca, in un signorile e antico palazzo in pieno centro vicino il grande teatro. Un piano terra in cui sono collocati gli sportelli e altri due piani in cui si snodano gli altri uffici. È una zona elegante, se non fosse per il tanfo che viene fuori da alcuni bidoni trasformati in discariche e per le cacche di piccioni e di cani che invadono il marciapiede. Dall’alto della mia finestra, spicca solo il meglio: i palazzi color ocra ornati di fregi, i balconi in ferro battuto carichi di gerani rossi e, invece che a Bari, immagino di trovarmi in una capitale europea.
Io e Lidia svolgiamo mansioni diverse. Nella sede siamo in molti, più o meno coetanei. Ma non tutti andiamo d’accordo, negli anni ho inventato una play list di colleghi. Sul lavoro ci sono i colleghi, gli amici colleghi e i colleghi stronzi. In quest’ultima categoria sono confluiti nel tempo diverse persone. Per fortuna non porto e periodicamente faccio una specie d’inventario: sposto i soggetti da una categoria all’altra, o ne aggiungo degli altri. Tra gli amici colleghi al primo posto c’è Lidia. È imponente, teutonica, una valchiria. Alta quasi due metri, sembra un armadio quattro stagioni e quando le parlo sono costretta ad alzare la testa come se stessi parlando ad una persona affacciata al balcone di un primo piano. Lidia è volitiva, pragmatica, non si perde mai d’animo e soprattutto non si perde in chiacchiere. Di lei ti puoi fidare. Certo, a volte s’incazza e, quando succede, meglio starne alla larga. In compenso, però, sa essere anche tanto buona. Sa ascoltarti se hai un problema, ed è come se, parlandole, la pillola vada giù meglio. Sarà proprio per questo che è una specie di muro del pianto, mantiene il segreto professionale come gli analisti. Certe volte la osservo silenziosa da lontano ed è sempre al suo posto a svolgere il suo compito. Provo spesso una grande invidia per il suo stakanovismo, per gli stimoli che riesce a trovare. Bah, io ultimamente li cerco e non li trovo, dove si saranno nascosti? L’altro giorno ne parlavo con un collega che mi ha risposto sghignazzando:
“Prova col Verecolene!”
Non ho ancora seguito il suo consiglio, vedremo nei prossimi giorni come si mettono le cose, anche perché non soffro di stitichezza. Ne ho parlato quindi con Lidia mentre lavorava instancabilmente e mi ha risposto:
“Devi cercare di trovare il lato positivo in tutto, anche nelle cose più insignificanti.”
“Eh, come si fa?”
“Ogni mattina, quando ti svegli è un giorno nuovo e diverso, che ti offrirà centinaia di opportunità.”
“Mah! Io ho l’impressione di vivere da anni sempre e solo lo stesso giorno. Piuttosto, mi prepari un caffè?”
“Se non premi i pulsanti come faccio?”
Ho premuto tre tasti sul pannello e Lidia ha cominciato il suo lavoro. Per prima cosa si è preoccupata di attingere l’acqua dal serbatoio, poi ha azionato la pompa che ha convogliato l’acqua bollente verso quella polvere dal profumo intenso. Il liquido e la sabbia scura si sono amalgamati. Infine Lidia si è adoperata affinché il liquido nero fosse trasportato all’interno dell’erogatore per poi fuoriuscire e scendere finalmente nel bicchiere di plastica. Si è assicurata che scendesse anche il bastoncino per girare il caffè e per finire me l’ha porto con i suoi modi gentili, quasi come fosse un mazzo di splendidi fiori.
Il giorno in cui arrivò in ufficio fu una grande festa, brindammo con caffè, thè e camomilla per ore, anche durante il pranzo. Come accompagnamento di pasta con i piselli, qualcuno bevve latte macchiato senza zucchero. Eravamo tutti molto uniti e giocosi, e del resto cosa sarebbe un ufficio senza una macchina da caffè? Sarebbe come la pizza senza mozzarella, il gorgonzola senza la muffa, o come la piazza del paese senza il campanile della chiesa. Ci si riunisce attorno come un focolare e si parla, si ride, si scherza e spesso si piange. In un ufficio può mancare una scrivania ma di certo non una macchina da caffè. Ricordo che quel giorno i trasportatori, viste le imponenti dimensioni di Lidia, lavorarono parecchio per trovare il posto giusto dove collocarla. Dopo ore di spostamenti, sudore e ruspanti incazzature degli addetti, fu sistemata vicino la finestra, accanto al distributore degli snack dolci e salati. Subito Lidia aveva avuto una brutta discussione con il distributore di bibite fresche. Lui le aveva pestato più volte i piedi e lei si era seccata parecchio, e poi si era passati alle parole pesanti. Lidia allora gli sputò contro un mix di caffè, latte, cioccolato e pipì. Per tutta risposta il distributore di bibite fresche la minacciò di denuncia, ma quando Lidia si mette in testa una cosa va dritta come un treno:
“Me ne frego della tua denuncia! Chiama pure il tuo avvocato, ci vediamo in tribunale!”
Col tempo hanno ripreso i rapporti, perché a Lidia certe cose passano in fretta. Al momento è single, ma viene fuori da una storia durata più di tre anni con il distributore di gelati. La storia è finita perché lui, Gino, un bel giorno è stato portato via, per andare a lavorare in un’azienda di prodotti chimici. È stato un duro colpo anche per me. Sono stata testimone della loro storia, l’ho vista nascere e crescere. Per lei fu un colpo di fulmine, un palo dritto nei sensi. Ricordo il giorno in cui Gino arrivò in azienda. Era primavera inoltrata e nessuno di noi si sarebbe aspettato di poter tirare fuori dal distributore, tra una pratica e l’altra, un cornetto Algida, un Solero o un sostanzioso Cucciolone. Gino fu accolto da lunghi scrosci di applausi. Lidia, si sa, d’estate lavora meno, poca gente prende il thè caldo o la camomilla. Certo, il caffè si beve caldo anche in estate, ma molti di noi preferiscono scendere al bar e rinfrescarsi col caffè al ghiaccio. Quando vide Gino entrare nella sala break, lo guardò per un attimo e rimase immobile. A volte mi racconta quel giorno come se fosse ieri, l’immagine di Gino vive ancora nei suoi occhi. Eh, la mia amica ha proprio il cuore a brandelli. Anche Gino rimase colpito dall’aspetto di Lidia. Cominciarono sin da subito a parlare, a ridere e scherzare, e già si notava che tra loro ci fosse una sintonia, una dolce armonia di note. Che non mi vengano a dire che il colpo di fulmine non esiste: Lidia e Gino fecero da subito coppia fissa. Capitava che esitassi qualche secondo prima di entrare nella sala break, per paura di rovinare qualche romantico momento. Vedevo Lidia raggiante più che mai. Ha più di quarant’anni e, nonostante sia una donna indipendente, ha bisogno anche lei di un uomo accanto. Franco, il distributore di bibite fresche, ci rimase piuttosto male. Era innamorato di lei da un bel po’ di tempo ma non aveva mai avuto il coraggio di dichiararsi; poi era arrivato Gino e buonanotte, gli aveva fatto le scarpe, anzi, lo aveva lasciato in mutande. Mi dispiaceva un po’ anche per lui. Osservavo la vita di questi macchinari e mi rendevo conto ogni giorno di quanto fosse simile alla nostra. Un ammasso di ferro, plastica e ingranaggi prova le nostre stesse gioie e dolori.
L’amore tra Lidia e Gino fu intenso e travolgente, fino a quel giorno funesto in cui portarono via lui. Una scena desolante. Il Direttore voleva ottimizzare i costi di gestione della sede, e quando la ditta di manutenzione chiese un prezzo troppo elevato, quel distributore venne sacrificato. Piuttosto che sacrificare Lidia o il distributore di acqua e snack, si optò per Gino. La decisione fu presa all’improvviso. Alle 9:00 arrivarono i tecnici e staccarono la presa elettrica. Impiegarono parecchio a spostarlo, Gino non voleva andare via. Vidi i due innamorati darsi un ultimo e appassionato bacio e scappai in bagno a piangere. Tornai da Lidia un’ora dopo, era inconsolabile. Le promisi che avrei fatto il possibile per farli incontrare ma a volte le promesse sono fatte per non essere mantenute.
I giorni successivi fui molto vicina al suo dolore. Restavo anche dopo l’orario di lavoro, prendevo una sedia e mi mettevo accanto a lei. Spesso si restava per ore in silenzio a fissare il vuoto. Lei mi guardava e non diceva una parola, ma sapevo che era contenta di vedermi.
Da allora la mia cara amica è un po’ cambiata, il suo ottimismo e pragmatismo spesso latitano, è un po’ distante. Ogni tanto la vedo con l’I-Pod nelle orecchie che osserva il cielo alla finestra. Pensa che non me ne accorga, eppure li vedo i suoi lucciconi, mi avvicino e riesco a sentire la melodia. È una romanticona, ascolta alcuni brani di Luigi Tenco, le ballate più struggenti, Bruno Lauzi e Gino Paoli, non disdegna Amy Winehouse né i Cure, I Blur, Janis Joplin e a volte lo confesso, mi emoziono anch’io. Sono patita per quella musica, abbiamo più o meno gli stessi gusti. Le accarezzo la mano e le dico:
“Su, Lidia, passerà! Il tempo guarisce tutte le ferite.”
Lei si volta e mi sorride ma di un sorriso amaro. Ah, l’amore! Gira voce poi che Gino ha già trovato il rimpiazzo, una macchina distributrice di acqua, non molto alta, snella e fresca, una venticinquenne. Tutti uguali gli uomini! Quando l’ha saputo, Lidia è rimasta in silenzio senza dire una parola, ha abbassato lo sguardo e detto solo: che stupida. Credo che non gliel’abbia mai perdonato, lei non ne parla mai. Un po’ la capisco e faccio finta di niente. Ora che è single poi, Franco prova in tutti i modi a conquistarla, ma lei ha il cuore altrove. Tempo fa, durante una pausa, l’ho visto porgerle un pacco di patatine al ketchup. Lei ha rifiutato. Rifiuta tutto. Ormai. Compreso il suo lavoro che ha abbandonato. Una sorta di sciopero bianco che per la maggior dei miei colleghi ha un che di incomprensibile. Ma io invece la capisco. Nei giorni in cui si sente più giù del solito fa uno sbuffo e io capisco che mi sta cercando. Arrivo. Estraggo il bicchiere di caffè dalla sua pancia. Osservo il liquido. La schiuma forma un’immagine in superficie, una smorfia, una bocca dal sorriso amaro e malinconico che man mano che bevo il caffè si trasforma in un sorriso.
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