08 Set Alessandra Minervini ci racconta “Cosa c’è di nuovo”… nell’editoria italiana
Alessandra Minervini, scrittrice, editor e consulente editoriale, è l’autrice di Cosa c’è di nuovo, Gina?, uno dei racconti contenuti nel terzo numero di Effe – Periodico di altre narratività, numero dedicato alla scoperta delle nuove narrazioni femminili (di cui potete leggere la recensione qui:http://www.ithinkmagazine.it/recensione-effe-3-letteratura-femminile/). Le abbiamo fatto alcune domande su questo racconto e sul mondo dell’editoria in generale.
Iniziamo con un po’ di “polemica”: quanto ha senso categorizzare la letteratura in base al genere di chi scrive? È giusto fare antologie di scrittrici donne, quando non risultano antologie di “scrittori uomini”?
La letteratura e la scrittura non hanno un genere, sono d’accordo. Questa però, come pure altre raccolte simili, è un’antologia dedicata alla scoperta delle nuove voci femminili, e in questo senso è vero che non esistono quelle in cui c’è la scoperta delle voci maschili, però è vero anche che c’è una scelta di genere nella pubblicazione, in Italia soprattutto, che prevale, e cioè quella sugli uomini, quindi c’è bisogno che qualcuno dia spazio alla voce femminile. Per cui sì, è vero, la letteratura non ha un genere, ma alcune volte è necessario, soprattutto in Italia come dicevo, dare questa possibilità, perché in effetti sono pochissime le scrittrici, e quasi sempre legate a dei fenomeni: ad esempio il “fenomeno Premoli”, il “fenomeno Pulsatilla”… quindi serve qualcuno che supporti la scrittura femminile, la voce femminile, che siano storie di donne o di uomini non ha importanza, ma che la voce sia “femminile” quello sì.
Voci femminili che secondo te valgono la pena di essere lette?
In questo momento in Italia c’è solo un nome, e questo nome è Elena Ferrante. Al di là del fatto che sia un uomo o una donna, che è una questione credo priva di interesse, è comunque una scrittura appunto molto femminile, direi genere Elsa Morante, che è sempre da leggere perché ha uno sguardo sul nostro paese molto interessante. E poi consiglio sempre Goliarda Sapienza, come rappresentante contemporanea e storica della narrativa italiana femminile.
Esordienti da seguire non me ne vengono in mente, forse proprio perché manca l’investimento da parte delle case editrici.
E in generale, dove stanno andando la letteratura e l’editoria italiane?
Il problema di fondo è che siamo in una fase “cane che si morde la coda”, perché le cose migliori le pubblica la piccola editoria, ma la piccola editoria, guardiamo in faccia la realtà, di fatto non esiste. Pubblica cose buone, anche ottime, anche meravigliose, però non esiste, perché non è sul mercato, non ha nessuna forza nelle recensioni, ha una vita brevissima…
Per quanto riguarda l’editoria grande e tradizionale, io continuo in un certo senso a venerarla, non ho problemi a dirlo, perché è quella che funziona a livello di mercato, di visibilità ma anche di consacrazione di un mestiere, cosa che la piccola editoria non consente, perché, come dicevo prima, anche se pubblica cose buone non riesce proprio a farle conoscere, o se le brucia. Diciamo anche che, come dice anche Carla Vasio nella sua introduzione, evolvendosi – o meglio involvendosi – l’uomo, la qualità tende a calare, per cui magari gli scarti di Einaudidegli anni sessanta erano capolavori rispetto agli scarti di Einaudi di oggi.
C’è da dire comunque che c’è sempre stata la tendenza del piccolo a scovare il talento più del grande, come fanno anche le riviste come Effe.
Parlando di Effe, qual è secondo te, se c’è, la costante di questi racconti (al di là del genere chiaramente)?
Direi sicuramente la famiglia, e la famiglia disfunzionale e disgregata in particolare, è una cosa che c’è praticamente in tutti i racconti. Una cosa che mi è piaciuta molto è la mancanza di storie d’amore: anche quando c’è l’amore non si tratta mai di storie sentimentali, i sentimenti sono calibrati anche su altro, non c’è la classica storia sentimentale che magari ci si potrebbe aspettare da una raccolta di sole donne.
Direi che c’è quasi una paura dei sentimenti in molti personaggi, compreso il tuo.
Sì, giusto. E potrebbe essere collegata proprio alla questione della famiglia.
Parlaci un po’ del tuo racconto. So che non è stato scritto per l’occasione.
È vero, ce l’avevo già e non l’avevo mai mandato a nessuno, ci sono molto affezionata perché mi ricorda quando vivevo a Torino. A questo proposito io penso una cosa: di solito si dice “ho il manoscritto nel cassetto” prima di pubblicarlo, in realtà uno ce l’ha quando lo pubblica. Io avevo il cassetto pieno di Torino, e, come dire, mi sono tolta un po’ questo pensiero, questa ossessione, non penso che scriverò mai più niente su Torino.
Quello che voglio dire è che si scrive per chiudere, per riempire i cassetti, non per svuotarli.
Il tuo racconto è uno dei due scritti dal punto di vista maschile, l’unico scritto in prima persona dal punto di vista di un uomo.
Sì, il motivo di questa scelta è anche il motivo per cui l’ho scritto: perché volevo che Gina fosse vista dal punto di vista dell’uomo, è stata una ricerca specifica e consapevole. Ogni volta che lui fa qualcosa, indirettamente Gina subisce, e quindi volevo guardare questa donna dal punto di vista del suo non dico carnefice, però del suo “pericolo” del suo uomo, che comunque è un uomo abbastanza inquieto e inquietante; mi serviva per guardare Gina. Se l’avessi raccontato dal punto di vista di lei, cosa che ho provato a fare, avrei raccontato di un uomo puntando il dito, e non mi interessava, e in quel caso non avrei raccontato davvero la loro storia, l’avrei solo descritta.
Tu lavori come editor: dal questo punto di vista, che cos’è secondo te che fa un buon racconto? Quando ti trovi a selezionare cosa fa la differenza?
Innanzitutto colgo l’occasione per dire a questo proposito che l’editor di Effe, Carlotta Colarieti, ha fatto un ottimo lavoro con il mio racconto. Io mi occupo soprattutto di editing di romanzi, che è un lavoro abbastanza diverso, però sono affascinata dal racconto, dalle storie brevi, e dal lavoro che ci si fa sopra.
Carlotta in particolare ha tolto alcune parti che erano di troppo, che rendevano il racconto “meno racconto”, perché specificavano troppo, e il bello di un racconto è anche che rimane un po’ indefinito, lei quindi mi ha fatto notare che a volte dicevo troppo, ripetevo, e ha tagliato.
Io come editor tendo più a far rivedere alcune cose, nel racconto è diverso però, il problema principale che ci può essere è non riuscire a concludere, e quindi l’editor può aiutare a indirizzare verso la fine. Oppure hai scritto troppo e devi togliere perché altrimenti la forma ne risentirebbe.
Quindi potremmo dire che il racconto deve andare al punto.
Sì, per cui diciamo che possono esserci due problemi opposti: o non ci si arriva, e allora l’editor deve chiederti cosa volevi dire, oppure si dice troppo, e quindi si aprono delle strade durante il racconto che non si chiudono, allora bisogna eliminarle. Credo sia questo il segreto di un racconto, eliminare quello che non ha connessione con la storia.
In Italia i racconti, soprattutto quelli scritti da italiani, non sono presi molto in considerazione. Secondo te c’è qualcuno bravo nel racconto? Tu fra l’altro hai anche curato una collana di racconti brevi, per LiberAria.
Non conosco benissimo la situazione italiana, ma mi piace molto il lavoro che fa Colla. Fra i maestri sicuramente non posso non nominare Buzzati e Parise, così come Ammaniti è uno che sa scrivere anche racconti secondo me; e sì, per LiberAria ho inventato i Singolari(http://www.liberaria.it/web/collane/singolari), questa collana digitale di racconti “one shot”, legati anche alla fruizione rapida dei device che credo riassumano il senso di una narrazione breve per alcuni autori, cioè quello di far venire fuori il proprio mondo narrativo: gli autori proponevano una triade di racconti che avevano qualcosa in comune, uniti dall’ambientazione o dalla voce.
Bene, ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato. Alla prossima.
Grazie a voi, a presto.
LETIZIA BOGNANNI
Articolo tratto da ithinkmagazine.it | settembre 2015
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