13 Mag Recensione | Chiara Ingrosso, La regola di Nora, Sem libri
Sem libri, pag 512, 18 eu
Il riferimento al massacro dei fidanzati di Lecce è esplicito. I fatti di cronaca corrispondono alla realtà. La sera del 21 settembre 2020 Antonio De Marco uccide con 79 coltellate Daniele De Santis e la fidanzata Eleonora Manta, poco più che trentenni. Per i media le due vittime diventano: i fidanzati felici. L’assassino, reo confesso, ammetterà che li ha uccisi perché erano troppo felici. Gioia nera. Se i libri avessero una traccia nascosta oppure il lato b, come accade con i dischi, gioia nera sarebbe quello de La regola di Nora. Il romanzo segna l’esordio alla narrativa di Chiara Ingrosso, leccese doc, giornalista e volto di Quarto Grado, programma tv d’approfondimento di crimini italiani. La protagonista del libro, Nora Lopez, ne condivide le origini e la professione. Vive a Roma, con il fidanzato Michele. Dopo anni di relazione, la convivenza li ha resi i fidanzati invisibili. Nora è nel fiore dei trent’anni, afflitta da una cronica insoddisfazione che un po’ viene dal complesso di Elettra, un po’ dall’indole (perfezionista e ambiziosa) e dal contesto. Lecce è una radice inestirpabile, la sua lontananza pesa come l’assenza di un arto. Il lavoro le piace ma non esalta la sua vocazione: scoprire cosa si cela dentro le menti criminali. Non le basta, anzi non le interessa, lo scoop. Nora vuole sapere cosa porta un essere umano a godere della sofferenza – compresa la morte – di un altro essere umano. Vuole arrivare al fondo della gioia nera. In un racconto minuzioso, con una struttura sghemba che alterna punti di vista a incastri spazio-temporali apparentemente non consequenziali, la bravura dell’autrice sta nel creare uniformità narrativa. La complessa impalcatura del romanzo, e la sua mole, si tiene insieme grazie al proprio serbatoio emotivo. Tutto regge nella comprensione e accettazione che per alcuni essere umani l’unica gioia possibile è nera. «La sofferenza altrui era il solo, vero piacere che ogni tanto si concedeva: l’impagabile ebbrezza di un sadico orgasmo, che gli attraversava mente e corpo mentre infliggeva dolore agli altri.» De Marco è dipinto come un paranoico disastrato, vittima della fede dei genitori. A parte il focus sul delitto di Lecce, tutto il resto, la storia e i personaggi di contorno, sono materiale della finzione letteraria. Pur essendo un romanzo corale, la storia principale è una sorta di formazione umana al contrario da parte di Nora che diventa “grande” passando per gli inferi propri e di chi le sta intorno, andando incontro a un destino di rimpianti violenti e feroci. Una scelta che fa approdare il romanzo alla fiction ispirata dalla cronaca nera e derivante da due lezioni dalla maestria indiscutibile: A sangue freddo di Truman Capote e Il talento di Mr Ripley di Patricia Highsmith. La narrazione in terza persona si mimetizza con la mente dei personaggi, governando i loro pensieri in semi-soggettiva. Il racconto stringe sulla percezione del male che ammanta la storia principale e quelle minori, senza svelarne mai realmente la motivazione profonda. La voce in terza persona procede a zig-zag. Concede e toglie percezioni e punti di vista, abbraccia i pensieri più nascosti. «Empatia e compassione, poi, erano un veleno contro il quale lui stesso rappresentava l’unico antidoto.» La struttura morbosa, non piana, è il riuscito segnale di una precisa intenzione narrativa: osservare il crimine da dentro, senza giudizio, attraverso la lente validante della letteratura.
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