13 Mag Recensione | Chicca Maralfa, Il delitto della montagna, Newton Compton
Newton Compton Editori 2024, pag. 288, 12.90 eu
Al commissario Gaetano Ravidà il freddo gli si addice. Non tanto perché mal sopporta il sole. Più per l’indole crepuscolare, fatta su misura per un clima che nasconde una ferita, un temporale, una nevicata, una gettata ghiacciata imprevista. Ne Lo strano caso delle sorelle Bedin, primo volume della serie a lui dedicata, Ravidà lasciava Bari (e un matrimonio fallito) per trasferirsi ad Asiago, piccolo altopiano vicentino circondato da cime maestose e dalla memoria della Grande Guerra. «Fra quelle case si era aggirato spesso, appena arrivato ad Asiago, cercando indizi per ricostruire l’efferato delitto delle sorelle Bedin, la sua prima indagine sull’altopiano. Gli sembrava che la contrada avesse perso la tensione tragica di allora, quasi si fosse liberata dalla spessa coltre di silenzi e omissioni che per anni avevano impedito alla verità di emergere e alla comunità di elaborare un lutto drammatico.»
Ne Il delitto della montagna, seconda avventura dell’eroe di carta, spirito eletto creato dalla scrittrice barese Chicca Maralfa, lo ritroviamo alle prese con tre omicidi a catena, sempre tra le alture venete, viste attraverso l’agiatezza naturalistica e lo spirito combattivo delle sue genti. Una terra tradizionale eppure sensibile alle trasformazioni, raccontata senza sbavature con lo sguardo di un ospite grato. «Sull’altopiano dei sette comuni sono rinato nipote di un soldato della Grande Guerra, che ha combattuto sul monte Lèmerle fino alla morte.» Sono passati due anni, il luogotenente è più crepuscolare (e più affascinante), mai una parola fuori posto, si muove compassato nei modi ed empatico nelle intenzioni. Il suo incedere tutto d’un pezzo, che si scompone solo davanti a un pezzo di rock sofisticato (dai Talking Heads ai National), è solido nella volontà di cercare la verità a tutti i costi, ossessionato com’è dalle menzogne a buon mercato. «Ora comandava la stazione dei carabinieri di Asiago e da qualche tempo si stava occupando di questioni ambientali, ma di tutt’altro tenore. Un paio di vecchie cave di marmo erano state utilizzate come deposito di rifiuti pericolosi e l’assottigliamento eccessivo delle pareti della roccia aveva provocato infiltrazioni nel bacino acquifero sottostante, che riforniva l’intero altopiano.» Gli omicidi si legano a doppio filo ai raggiri ambientali, espandendo il racconto a scenari e temi ambientalisti. I personaggi attorno al protagonista si alternano in una narrazione fitta, lucida e senza effetti speciali. Per questo godibile dentro una trama densa, con capitoli brevi, alternati nei punti di vista delle sottotrame. Una scrittura che dà spazio alla riflessione. Anche quando incrocia la linea sentimentale. «Da qualche tempo, si sentiva come un soldato costretto a muoversi nel labirinto di una trincea, fra pericoli e incognite. L’incognita per eccellenza era rappresentata dal medico legale Maria Antonietta Malerba. La loro relazione clandestina lo destabilizzava e soprattutto lo poneva di fronte al grande enigma. Si stava innamorando di nuovo della donna sbagliata?»
Seguendo tracce e misteri, ci si addentra nella domanda più difficile di tutte, che preme fin dall’infanzia: dove portano le menzogne? Al tradimento di se stessi o alla protezione personale? Una risposta scontata sarebbe che le bugie hanno le gambe corte. Invece nel romanzo si va oltre i teoremi scontati e ci si scontra con il compimento, o il dissolvimento, del confine tra male e bene.
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