06 Mag Recensione | Paolo Ferrante, Tegumenta, Moscabianca Edizioni
Moscabianca Edizioni 2023, pag. 208, 23 eu
Paolo Ferrante, autore e artista leccese, ha scritto e illustrato un romanzo incantevole. Tegumenta è un'(anti)opera (anti)mondo. È ciò che il cuore sente ma la lingua non dice. «Nel 1978 a T.,un borgo italiano, la tranquilla vita degli abitanti viene sconvolta da un terremoto che devasta una piccola zona del comune e inghiotte un’antica e massiccia costruzione di fine Ottocento.» La prima voce della storia appartiene a Tea de Girolamo che, dopo anni, si interessa al mistero di Nostra Signora delle Tegumenta, una clinica privata dove pazienti difformi dalla norma ed eventi soprannaturali accrescono la fama di casa degli spiriti. Ne fa i conti Luca Chenosi, il medico che la dirige dal 1948 fino alla fine. È suo il punto di vista della vicenda. Grazie al ritrovamento dei appunti Tea, e chi legge, risale alle verità nascoste.
Ferrante ispirato alle architetture barocche leccesi, semina costellazioni di punti di vista. A cui sovrappone il paesaggio liminale di un Salento gotico che esprime solitudine con intimità serena, in contrasto con la narrazione canonica della Puglia ancestrale. Il romanzo è un ipertesto con una grammatica che include parole inesistenti, malattie immaginate e sentimenti monchi. Il simbolico è più reale dei fatti. Chenosi si chiede cosa sia la Condanna, una pianta nera ingerita «per far esplodere nel mondo il proprio amore, da sempre represso e nascosto.» Il mal d’amore non passa, si riproduce in forme inquietanti. Pulcini nascono dalle tempie, falene albergano nelle pupille, serpenti covano sulle chiome. L’umanità si deforma, segue l’incedere del sentimento perduto.
Tegumenta è una distopia compatibile sia con la munificente fantasia di Cervantes che con l’atmosfera visionaria di Borges. L’amore e la sua mistificazione, la sublimazione della morte con l’umiliazione del corpo, il confine mai pacifico tra scienza e fede. La storia è stratificata su più piani narrativi, nella stratificazione strutturale risalta il suo senso più profondo. Esiste un filo nascosto nelle storie; un mistero perenne che obbliga ad accogliere l’ignoto per sopravvivere.
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