11 Gen Limone di Camilla Mantovani – Dopolavoro letterario n. 71
Camilla prima di scrivere, vede. Lo fa con gli occhi, con la memoria e con i cinque sensi. Il suo talento regna nella creazione di atmosfere mai inutili o di sfondo. Inventa la realtà, una capacità che ho notato sia durante Una storia tutta per sé che leggendola in percorsi di scrittura più strutturati e complessi. Ha una visione d’autrice plasmante, lei plasma la materia, poi il resto sembra si scriva da sé come avviene in questo racconto, un esempio di scrittura percettiva che, appunto, crea prima di tutto un’atmosfera. Il gusto e l’odore e il colore del gelato al limone lo portiamo a casa con noi, dopo averla letta.
Limone
di Camilla Mantovani
Siamo andati giù sul lago insieme. Sulla Vespa che ti ho fatto arrivare da Milano tutta scannata e che tu hai rimesso a posto, con pazienza. “Ho trovato uno che me la sistema coi pezzi originali, vedrai che gioiellino” e in effetti così è stato. Devi aver speso tanto, ma la Vespa è tornata al suo antico splendore. Un oggetto d’epoca, da intenditore. Sono contenta che ti piaccia e mi fa stare tranquilla che la moto non corra troppo, perché su quelle curve della provinciale che da ragazzino facevi piegato fino alle scintille tu possa non rischiare nemmeno una in più delle tue nove vite. Chissà quante te ne restano.
Sono infreddolita adesso nella calura della riva. “Che differenza di temperatura, eh?”. Ce n’è ancora molta in effetti tra l’alta valle e il lago, anche se è fine agosto. Siamo scesi oscillando lungo le curve a gomito che percorrono le strette gole della montagna che si snodano attraverso la provinciale attorcigliandosi ai torrenti gelidi. Mi sono svegliata dalla noia estiva.
“Cosa vuoi?”, siamo venuti qui perché è la tua gelateria preferita.
“Una coppetta”.
Mio padre si dirige alla commessa.
“Allora, io un cono crema e pistacchio e una coppetta…di cosa la vuoi?”
“Limone”
“Come tua madre”, accenna un sorriso sotto i baffi prima di riferire alla signora in attesa con la spatola in mano.
Offre lui.
Penso che la gente possa essere catalogata in due grandi gruppi, quelli a cui piace il gelato al limone e quelli che non lo chiedono mai. Io non lo chiedo quasi mai, dico quasi perché oggi me n’è venuta voglia. Attraversiamo la strada e ci sediamo su una panchina di marmo davanti al lago. Si sente l’odore famigliare dell’acqua stagnante, densa delle ore di caldo. Le ombre lunghe delle montagne scuriscono l’acqua davanti a noi e ci regalano un po’ di frescura. Il traghetto che viene da Como è fermo e vari turisti tedeschi e inglesi scendono rumorosamente intasando la banchina prima di occupare i posti ai tavolini dei bar. Io e te siamo seduti in silenzio e li osserviamo pochi metri più in là. Il gelato al limone si scioglie in fretta in bocca e passata l’immediata sensazione di fresco lascia un retrogusto acido e addensante. La saliva cambia consistenza, ogni cucchiaino, sempre di più. Mi resta lo zucchero in gola. I denti sono freddi, ci passo sopra la lingua cercando quella prima sensazione di refrigerio che però dura solo un instante, come un desiderio.
“Posso prenderti un po’ di crema?”
“Eh, certo!”
Prendo un cucchiaino di crema dal suo cono. È tutta un’altra storia. La crema è dolce, ma non avviluppa, è morbida, discreta, gentile. È un sapore rotondo quello della crema, che ti accompagna come un profumo di classe coprendo gentilmente le papille gustative. Mi chiedo perché oggi ho scelto un altro gusto. Il limone di prima torna con forza appena deglutisco. È come se nella bocca avessi appeso un alberello Abre Magique. Sento ancora la gola impiastricciata di dolce.
“Vuoi dell’acqua papà?”
“No, grazie.”
“Vado a prenderla, adesso arrivo”.
Esco dalla gelateria con la mia bottiglietta in mano. La apro e ne bevo metà in un sorso solo. Le bollicine grattano via lo zucchero, mi sento meglio.
Guardo al di là della strada e la panchina dove eravamo seduti adesso è vuota.
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