Gli zii della domenica di Nuvola Rinaldi – dopolavoroletterario n. 69
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Gli zii della domenica di Nuvola Rinaldi – dopolavoroletterario n. 69

Il racconto di Nuvola Rinaldi è fantastico nel senso che mette in scena una storia dove i sentimenti dentro la voce della bambina protagonista sono come un’epifania. Noi diventiamo quella bambina, a prescindere da ciò che racconta. Il come in una storia fantastica viene prima del cosa. Il come di questo racconto è una polvere magica e scintillante, adornata della malinconia dell’infanzia in cui ogni cosa sembra possibile se c’è un legame a sorreggerla, anche diventare rami e radici dello stesso albero. Come direbbe J. D. Salinger alla voce narrante del racconto: “le tue parole mi si addicono”.

 

La domenica degli zii

di Nuvola Rinaldi

 

Linda dammi la mano. Quante volte ti ho detto che non ti devi allontanare?

Linda si blocca di colpo sulle punte dei piedi come se qualcuno avesse schiacciato un pulsante a distanza e si gira verso la madre, aspettandola col braccio proteso e lo sguardo rivolto a terra. Una fila ordinata di formiche sta trasportando gli avanzi di un panino del sabato sera.

Papà quando arriva?

Papà è molto impegnato. Arriva stasera, mentre tu stai dormendo. Non ti piace qui? Più tardi viene la zia e mentre mamma torna in città a sbrigare delle cose, puoi giocare con Carla e Daniela. Qui, in questo parco bellissimo, vedi?

Perché papà non c’è mai?

Papà lavora.

E perché deve lavorare sempre?

Linda, basta domande. Ora stiamo andando a casa della zia che ti aspetta. Stasera ne parliamo.

Giulia comincia ad affrettare il passo. In una mano lo zaino con tutto l’occorrente per Linda, nell’altra la borsa che tiene in bilico sul polso per non farla scivolare sul braccio della bambina, che di sicuro, maldestra com’è, la farebbe cadere per terra. I capelli tagliati di fresco le si appiccicano sulla fronte, un po’ perché a Palermo fa ancora caldo ed è umido, un po’ per un sottile disagio che le fa sudare le ascelle e la fronte. È domenica mattina, la città è vuota e sull’asfalto si sente il rumore secco dei tacchi degli stivaletti che ha fatto decisamente male a indossare. Se ne rende conto ora. Fa troppo caldo.

Linda, non così. Ma cosa c’è stamattina? Non vedi tutte le cose che devo portare? Ci manchi solo tu. Non ti appendere.

Finalmente dopo vari saliscendi su marciapiedi e passi carrabili, zigzagando tra macchine posteggiate in seconda e terza fila, si fermano davanti a un cancello bianco di un residence. Mentre solleva lo sguardo per controllare se il civico è quello giusto, Giulia tira un po’ giù i jeans elasticizzati che avevano fatto delle piegoline sconvenienti sotto gli inguini. Stamattina è nervosa. Non si ricorda più perché ha accettato di incontrare Nicola. Ma ormai è fatta. E poi Riccardo non c’è mai.

Paola, sono io. Ti sto mandando su Linda. Ci sentiamo dopo -, poi piega le ginocchia e si mette all’altezza della figlia prendendole il viso tra le mani: – Ciao Linda. Comportati bene. Non fare capricci. Inteso? Ci vediamo più tardi.

Linda scuote vigorosamente la testa in giù e in su per rassicurarla che non avrebbe fatto nessun capriccio.

Mamma ma dov’è che lavora papà?

Ne parliamo stasera. Ora sali che la zia ti aspetta.

 

La casa degli zii non è grande. Carla e Daniela dormono nella stessa stanza, che è molto più piccola di quella di Linda, ma è accogliente. Anche zia Paola e zio Walter sono accoglienti. Le domeniche passate con loro sono piene di cose da fare insieme: giochi, preparazione di pizze o biscotti, cartoni animati, passeggiate.

Bambine, vestitevi che scendiamo al parco. Linda tu posa il tuo zaino in camera, fai una pipì e andiamo. Oggi vi faccio conoscere gli alberi che abitano qui sotto -, dice zio Walter col suo vocione gioviale.

Tutte e tre le bambine si vestono e allacciano le scarpe. Carla prende taccuino e penna, Daniela il binocolo e Linda chiede a Paola se ha da darle qualcosa per lei. Zia Paola, che sta lavando i piatti, asciuga le mani bagnate sul grembiule in due mosse e sparisce nello sgabuzzino per uscirne qualche minuto dopo, trionfante, con un gomitolo di lana rossa in mano e un grande sorriso. – Ecco, Linda, porta questo. Può sempre servire.

Scendono in fila al portone e, dandosi la mano, percorrono il breve tragitto che li separa dal parco.

Io qui ci sono già venuta. Stamattina con la mamma.

Certo Linda, – dice Walter – quando vieni a casa nostra ci devi passare per forza. Ma hai mai fatto attenzione a quanti alberi ci sono? E a quanto sono grandi?

Perché quanto sono grandi, zio? -, chiede Linda, mentre Daniela, col binocolo, ne inquadra uno in lontananza.

Io posso scriverlo sul taccuino, ho anche la penna -, dice eccitata Carla.

Vediamo un po’ -, Linda – potremmo misurarli con il filo di lana e vedere qual è il tronco più largo.

Sììììììì, dai.

Carla e Daniela appoggiano su una panchina binocolo, taccuino e penna e assieme a Linda cominciano tutte le misurazioni del caso.

Ma voi lo sapete che gli alberi parlano tra loro?

Zio, ma come parlano? Non hanno bocca.

Infatti, papà, com’è possibile?

Parlano in un altro modo. Attraverso le radici. Le radici degli alberi sottoterra sono tutte aggrovigliate tra loro. Sono come dei fili elettrici. Quando devono dirsi qualcosa parte un impulso dalla radice di un albero, attraversa tutti i fili fino a che non arriva alla radice dell’albero con cui vuole parlare. E così via.

E quindi, zio, tutti gli alberi possono parlare con qualsiasi albero. Anche con quelli lontani, lontani?

Sì Linda, ci vuole solo un poco più di tempo, ma gli impulsi camminano veloci di radice in radice e alla fine arrivano dappertutto.

E che cosa si dicono, papà?

Questo non lo so, Carla. Forse si avvertono tra loro se c’è un pericolo. Come fanno le api e le formiche…

Oppure si dicono ‘Mi manchi’, – suggerisce Linda.

Oppure si chiedono ‘Come stai?’ – aggiunge Daniela.

Oppure tutte queste cose insieme, bambine. Può essere. Ora però, completiamo le nostre misurazioni col filo, segniamo tutto sul taccuino e poi rientriamo a casa che la mamma ci aspetta.

 

Cazzo, Nicola, ma che ore si sono fatte?

Non lo so, Giulia è tardi. Fatti la doccia e sbrigati.

Giulia cerca un orecchino tra le lenzuola, lo rimette all’orecchio e scappa in bagno – Ma come ci siamo potuti addormentare così? Ora come faccio con Linda?

Calmati Giulia, chiama tua sorella, vedi se possono tenerla a dormire.

Paola mi ammazza, è la quarta domenica che gliela lascio. Avviso Riccardo, che tanto come al solito è a Catania, gli dico che sto dalla mia collega, tanto non gliene frega niente. Manco mi ascolta.

Compone il numero di Riccardo, c’è uno scambio di qualche frase, poi mette giù.

Che ti dicevo? Non so neppure se ha capito che dormo fuori. Pace all’anima sua. Ora chiamo Paola e ce ne andiamo a cena con calma.

Amore, la mamma ha appena chiamato. Stasera deve stare a dormire fuori. Tu rimani da noi, va bene?

Va bene zia.

Domani mattina presto mamma viene a prenderti e le racconti tutto quello che abbiamo fatto oggi, ok?

Ok. E papà?

Papà di sicuro ti chiamerà per la buona notte.

Veramente?

Certo, anzi senti, sta squillando il telefono. Magari è lui.

Linda, corri, c’è papà al telefono -, grida Walter dal soggiorno – sbrigati che vuole salutarti.

Linda si precipita in soggiorno e strappa la cornetta di mano allo zio.

Papà! Papà, papà… papà ciao.

Amore, ciao. Ti diverti con Carla e Daniela?

Sì, ma tu quando torni?

Torno tardissimo amore. Stasera stai lì a dormire e domani la mamma ti riporta a casa. Va bene?

E tu dove dormi?

Fuori. A Catania.

È lontana Catania?

No. Appena ho finito torno da te, va bene?

Linda? Linda, ci sei?

Sì.

Allora, buona notte. Chiudi, tesoro.

Papà?

Sì?

Ma a te piacerebbe essere un albero?

Certo che mi piacerebbe.

Ora però vai a dormire.

Linda mette giù il telefono, dà la buona notte a tutti e si mette a dormire. Appena la casa è completamente buia, si alza, va in cucina e sotto il lavello prende la bacinella della biancheria. Apre senza fare rumore il balcone del soggiorno e facendo diversi viaggi, riempie la bacinella d’acqua. Bicchiere dopo bicchiere. Poi, soddisfatta, sfila le ciabatte e immerge i piedi. Chiude gli occhi e allarga le braccia, fa un lungo respiro e ripete tutto d’un fiato: – Fammi crescere le radici. Fammi crescere le radici. Ti prego. Mi laverò i denti, mangerò le carote bollite. Non farò capricci, ma tu fammi crescere le radici.

Linda, ma che ci fai lì?

Zia niente, mi stavo lavando i piedi.

Vai di corsa a letto che sono puliti, vai.

Linda ancora col batticuore si rimette a letto, sdraiata sulla schiena, giunge le mani sul petto, continuando la sua preghiera in silenzio – Fammi crescere le radici, fammi crescere le radici. E comincia a prendere sonno solo quando finalmente comincia a sentire un formicolio sotto la pianta del piede.

 

Linda! Linda! Svegliati amore che tra poco vengono a prenderti.

Linda si sveglia con le mani ancora giunte in preghiera. Apre gli occhi, strofina un piede contro l’altro e si rasserena quando sente che il formicolio è ancora lì. Si veste, mette nello zaino tutte le sue cose, – Zia, posso tenere il gomitolo rosso?

Certo che puoi, quello è tuo, ormai…oh il citofono, dai metti le scarpe che io rispondo.

Linda infila le scarpe col suo solletichino ai piedi, allarga per bene le stringhe per non rischiare di soffocarlo, mentre la zia si dirige veloce verso di lei.

Sbrigati, amore, che c’è una sorpresa per te.

Che cosa zia?

Senti, stanno suonando alla porta. Vai ad aprire.

…Pa… papà… papàààà!!! – Linda salta al collo a suo padre e lo stringe più forte che può.

Papà sei tornato!

Amore mio sì, sono venuto a prenderti e ti devo raccontare una cosa buffissima.

Cosa papà?

Lo sai che stanotte non ho chiuso occhio?

Perché? Hai fatto brutti sogni?

No. Non ho fatto altro che grattarmi la pianta dei piedi. Avevo un prurito pazzesco.

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