05 Lug “Schiaffi” di Cristian Attolico #dopolavoroletterario n. 66
Il racconto che state per leggere proviene dall’esperienza maturata da Cristian, un po’ di tempo fa, dentro un laboratorio sul racconto che ha come miccia narrativa, l’esplosione del fantastico. Cristian è un autore che scrive per immagini, guarda le cose prima di dar loro un nome; è successo con questo racconto, così come con altri. Ho scelto di pubblicare Schiaffi perché penso sia il segno della profonda maturazione narrativa, fatta di impegno sintesi e fedeltà a se stessi, del percorso di Attolico, a cui auguro presto di completare la sua raccolta di storie e di immagini, che ora vibrano nella sua testa.
Schiaffi
di Cristian Attolico
Io e Riccardo eravamo andati a giocare a pallone nella piazza dietro la scuola, dove c’era la villa abbandonata. La chiamavamo ‘la casa stregata’. Si diceva che, se rimanevi un po’ di tempo davanti alla villa, potevi sentire il pianto di una donna. Alcuni pensavano che era un fantasma, altri una strega. Però quel posto ci piaceva lo stesso, anche se faceva paura; anzi era meglio così! Nessuno ci avrebbe rimproverato di fare chiasso.
A Riccardo gli avevano regalato il pallone nuovo di cuoio con la firma di Paolo Rossi sopra; Riccardo diceva che il papà se l’era fatto firmare proprio da Paolo Rossi. I primi giorni che lo aveva avuto, teneva il pallone stretto tra le braccia e me lo faceva vedere solo da lontano, per paura che lo rovinassi. Ma io lo sapevo perché non me lo faceva vedere da vicino: la firma non era vera, ma l’avevano stampata.
Dopo qualche giorno incominciò a farmi giocare col pallone di cuoio, che era proprio bello! Era coperto di esagoni bianchi e di pentagoni neri, proprio le figure geometriche che la maestra ci stava spiegando a scuola. La palla aveva lo stesso odore della borsa di mamma e quando la calciavo faceva un po’ male ai piedi. Se tiravamo forte forte, il pallone faceva un boato – si dice così? – che sembrava di essere i giocatori dentro lo stadio. Quel giorno stavamo giocando ai rigori e usavamo come porta il cancello della villa; se sbagliavi un rigore, diventavi portiere. Riccardo, anche se magrolino, tirava certe cannonate che non riuscivo neanche a vedere da dove arrivava il pallone e così mi ero rassegnato a rimanere in porta tutto il pomeriggio; ma, a un certo punto, Riccardo fece un tiro forte e centrale. Il pallone mi colpì i pugni, che avevo messo davanti alla faccia per proteggermi, si impennò sopra di me, si stampò sul di sopra del cancello – cioè la traversa – e cadde dentro al giardino della villa. Riccardo si arrabbiò tantissimo e iniziò a dire: «Il pallone costa 20.000 lire. Se non me lo vai a prendere lo dirò ai tuoi genitori!». «Ma io ho paura! E se poi trovo la strega?!», gli dissi mentre iniziavo a piangere. «Sei solo un cacasotto. Lo sai bene che sono bugie che ci dicono per non farci venire a giocare qui. Comunque decidi tu: o mi ripaghi il pallone oppure lo vai a recuperare».
In quel momento mi vennero in mente gli schiaffi di papà e le grida della mamma, così pensai che forse la strega non era tanto paurosa quanto i miei genitori.
Entrare nella villa fu abbastanza facile. Gli amici delle medie ci avevano detto che c’era un buco nella rete di ferro che circonda la villa e da lì si poteva entrare nel giardino. Così mi infilai nel foro, passai in mezzo a tanti cespugli pieni di foglie e raggiunsi il pallone che, ruzzolando, era arrivato sotto a una delle finestre, incastrandosi in mezzo ai rami di un cespuglio. La villa, vista da vicino, non è che fosse tanto bella: aveva i tetti a punta, i muri pieni di crepe e le finestre tutte con i vetri rotti. Insomma sembrava la “casa dell’orrore” del luna park.
Appena arrivato, incominciai a sentire un rumore che veniva da dentro la casa. Si ripeteva sempre più veloce e mi sembrava come uno schiaffo, ma meno forte di quello che mi dava papà. Al rumore si aggiunse il lamento di una donna, che si sentiva subito dopo ogni “schiaffo” e che diventava sempre più forte. Per prendere il pallone avrei dovuto passare davanti alla finestra…e se quello che sentivo era la strega che piangeva? Le gambe incominciarono a tremarmi, mi voltai per andarmene, ma sapevo già che non l’avrei fatto perché da papà mi sarei preso non solo gli schiaffi, ma anche la cinta. Così mi avvicinai piano alla finestra e mi allungai per prendere il pallone. In quel momento il lamento diventò un grido che mi fece fare la pipì nei pantaloni. Dietro ai vetri rotti, in un angolo della stanza, vidi la strega che stava nuda e a quattro zampe su un vecchio materasso. Aveva la faccia rossa, i capelli neri e respirava forte mentre continuava a gridare. Dietro di lei, una persona inginocchiata e tutta scura, per il buio che c’era nella casa, la colpiva con la pancia. Dopo ogni colpo, che faceva il finto rumore di schiaffi, la strega gridava forte. Ma le grida erano strane, non si capiva se le stava facendo male o no. Mi sentii un fuoco alla testa e i capelli che si rizzavano. Corsi via senza pensare al pallone che rimase impigliato nel cespuglio.
Raggiunsi Riccardo che non riuscivo più a parlare per il fiatone e la paura. «Disgraziato! Dove hai messo il pallone?», mi disse senza fregarsene di come stavo «Uff…la strega…piangeva assai e gridava… che paura, Riccardo!», gli risposi, piegato in avanti per lo sforzo. «Ma poi guardati…ti sei pisciato sotto e hai capelli tutti bianchi!», mi disse incominciando a sghignazzare, mentre mi mettevo le mani in testa neanche potessi sentire con le dita il colore nuovo dei capelli. «Va bene, Geppetto. Domani mi porti 20.000 lire oppure sono cavoli tuoi» e se ne andò.
Da lontano, vidi le sue spalle spigolose e sudate che sporgevano diritte dalla canottiera e per un attimo mi sembrò di vedere un calciatore che ha vinto una partita difficile e, anche se ha commesso un errore, esce felice e orgoglioso dal campo. Un po’ come Cabrini nella finale dei Mondiali in Spagna. Poi alzò di scatto il braccio destro con la mano a pugno e fece un salto pazzesco, come quello di un gatto quando si spaventa. Ma lui non era spaventato. «Che orgasmo ‘sta partita!» gridò mentre atterrava sicuro sulle gambette pelle e ossa.
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