Come trovare la concentrazione mentre si scrive(senza ammazzare qualcuno o buttare via il telefono) – La vita inedita di una scrittrice #39
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Come trovare la concentrazione mentre si scrive(senza ammazzare qualcuno o buttare via il telefono) – La vita inedita di una scrittrice #39

Non ho mai creduto nei trucchi del mestiere. Quando scrivo, qualsiasi cosa questo significhi: dal diario personale al racconto per rivista, dall’editing di una storia all’ideazione di una scaletta, quando compio un atto creativo la prima parola che mi viene in mente è protezione.

Non vocazione, non urgenza, non necessità. Protezione.

Quando scrivo proteggo e mi proteggo. Avere una concentrazione totalizzante è la condizione indispensabile per l’emersione di questa zona di protezione. Un posto tranquillo dentro di me, la cosa più difficile da trovare.

Spesso mi ritrovo a scrivere in condizioni estreme. Una consegna al limite del tempo e la mancanza di protezione dentro le parole. Ha bisogno di vivere la parola nel momento stesso in cui la cerco. Sono numerosi gli episodi in cui questa ricerca mi sfugge. La mancanza di concentazione si annida dentro di me sia per fattori esterni che interiori.

Partiamo dai primi.

C’è chi scrive in condizioni caotiche. Anzi, le preferisce. Il rumore intorno, comprese le persone che fanno tutt’altro vicino, possono essere stimoli creativi. Magari si fa prima, magari si sente la fretta e la pressione in maniera più produttive. Per me non è così. Se sto scrivendo una cosa, l’attività che realmente faccio è pensarla. La mancanza di concentrazione debilita quello spazio del pensiero.

Se qualcuno chiama o richiede costanti attenzioni, siano personali o professionali, argina il pensiero; se il pensiero si argina crolla la concentrazione e la storia, con tutte le parole che ne derivano, affonda.

Allora non è che divento nervosa. Divento irritabile e irritante. Il mio bisogno di protezione si scontra con l’evidente mancanza di considerazione esterna rispetto ai miei bisogni, in questo caso creativi.

È come se si scatenasse una lotta involontaria tra richieste degli altri e richieste personali. Chi vincerà? Non sembra, eppure la maggior parte delle volte sono gli altri a vincere. Io mi arrendo, lascio il pc e il pensiero mi abbandona, mi fa ciao ciao con la manina e un po’ della mia stabilità mentale si spezza.

Almeno, si spezzava. Fino a qualche tempo fa. Quando nemmeno da sola mi davo lo spazio di credibilità e di protezione giusti. Poi è successo che mi sono detta: perchè devo dare tutto questo spazio mentale a qualcuno che lo avrà comunque ma soltanto dopo, e parlo al massimo di settimane ma a volte si tratta veramente solo di ore, mentre il filo del discorso di scrittura potrebbe non tornare più o tornare in modo avariato?

È una questione di pazienza, la mia e quella degli altri.

Non è che non voglio rispondere al telefono o dedicarmi a una chiacchierata spensierata. Non è che non voglio soccorrere chi mi chiede attenzioni e pareri. Oppure non mi interessa la nuova ricetta che mia madre sta sperimentando. Non so fare tutte e due le cose insieme. Non ci riesco. Ma spiegare questa incapacità è difficile, se non impossibile.

Scrivere è il contrario della libertà,la scrittura è un padrone. E non è certo una posa romantica.

Mi viene in mente l’immagine stereotipata dello scrittore che si sente incompreso dal resto del mondo. Non è che io creda a tale incomprensione come forma di indulgenza plenaria. Però è vero che sentire l’assillo esterno impedisce la concentrazione. Perchè sposta l’attenzione. Questa è un’altra parola chiave. Se sto pensando a ciò che devo scrivere, porgo la mia attenzione su questo in modo totale. Non è che non posso, non riesco a prestare attenzione ad altro. Non è un atteggiamento naif. Non è nemmeno una posa. Dall’esterno può sembrarlo. Invece è proprio uno scontro tra la necessità di trovare protezione e l’evidenza che qualcuno o qualcosa stia lavorando contro questa ricerca.

Allora serve isolarsi e basta? Spegnere il telefono? Mettere in off qualsiasi canale social, mail e soprattutto le chat? Serve sì, ma non basta.

Sulle chat posso aprire una parentesi gigantesca e anche poco educata.

Io non sopporto le chat. Io non pretendo di silenziare la vita degli altri in relazione alla mia. Ciò che pretendo, e che dobbiamo pretendere, è l’attestazione di cura. Mi sto proteggendo e tu che mi contatti sei tenuto ad avere cura del mio bisogno protettivo. È come avere freddo e contemporaneamente avere qualcuno che continuamente ti toglie il piumone dal corpo.

Allora scarico la responsabilità sugli altri?

No, la responsabilità il più delle volte è mia. Sono io che mi sento in colpa in una doppia maniera. Verso me stessa, che smetto di proteggere, verso l’esterno, a cui sento di non dare l’adeguata attenzione. Salvo poi fermarmi un attimo, tornare a scrivere e scoprire che questa richiesta non è per niente adeguata. Mi riprendo il piumone che mi spetta e se posso aggiungo pure la copertina.

Se un medico sta operando a cuore aperto, risponde al telefono? Va bene, non è la stessa cosa. Non sono azioni paragonabili, scrivere e trapiantare un cuore, ma è un esempio per mettere in luce quanta concentrazione chi deve scrivere sta investendo. E uso non a caso il verbo dovere. Perchè la concentrazione non è un vezzo di chi sta componendo un verso per esprimere se stesso. Molti scrivono perché quello sanno fare, perchè quello devono e possono fare. Perchè scrivere, nel bene e nel male, fa loro da mangiare.

Allora l’unica soluzione è l’eremitismo? Basta rinchiundersi in un bunker e tutto va a posto?

Ovviamente. No.

Nei vecchi noir americani c’è una scena di solito comune in molti casi. La macchina da presa inquadra quei vecchi schedari di metallo dove sono catalogati un sacco di documenti, c’è spesso una mano che li scorre, frugando nello schedario per cercare il documento utile, di solito per impossessarsene in maniera illecita, c’è una stanza spesso buia e fumosa e questa mano che cerca e quando trova il documento lo piega per una parte, controlla che sia quello giusto, il documento che stava cercando, quando ne è certo lo sbatte un po’ sul resto dei documenti nello schedario, come a dirci: trovato! Ecco, questo più o meno accade in una mente concentrata durante il processo di scrittura. Qualsiasi scrittura. Un sublime verso come una ricerca bibliografica per un saggio di botanica. La concentrazione funziona in modo analogico, mentre il mondo chiede e pretende in modo digitale. Perdere la concentrazione significa bloccare quella mano che fruga nello schedario in un vecchio noir francese.

Non ci sono reali soluzioni. Né è mia intenzione svolgere lamentosi proclami. Scrivere è un lavoro come tanti e spesso si tratta pure di un privilegio.

Ho provato però a immaginare, visto che ci troviamo dentro un luogo che se non fa della scrittura un mestiere perlomeno la scrittura la abita, come fare se la concentrazione non si raggiunge. Non serve eliminare parenti, amici, amori e simili dalla faccia della Terra. Piuttosto, usiamoli.

Iniziate a mandare i vostri scritti, anche solo a leggerli velocemente al telefono, a chi costantemente vi distrae e osa addirittura dire: ma ti ho visto prima online su facebook perché a me non rispondi al messaggio? Farlo una volta sarà sufficiente.

Altra parentesi gigantesca che apro sulla messaggistica. Non è la stessa cosa. Non c’entra niente. Niente. Se ricevo un messaggio di 12 minuti e passa da un’amica, con cui peraltro ho interazioni quotidiane, e lo ascolto e trovo magari una soluzione al problema che mi pone e le mando un altro messaggio e trovo le parole per dirle le cose etc etc , io perdo la concentrazione. Se metto un like a qualcuno su facebook mentre per tre minuti stacco la faccia dal monitor o commento una foto su instagram sto investendo zero in termini di concentrazione. Se alla mia amica nel vocale mando uno stralcio del testo a cui sto lavorando, chiedendo un parere o un riferimento è quasi certo che blocco la conversazione tra noi e recupero la concentrazione.

Intendiamoci, questo accade nella metà del tempo giornaliero. Non tutti i momenti della scrittura sono così iperconconcentrati, però vi assicuro che accade e se volete portare a termine un lavoro, l’unico modo è concentrare tutte le vostre forze sulla santa pazienza.

Perchè se poi escludiamo i fattori esterni, arrivano garibaldini e gagliardi, i fattori interiori. La distrazione è anche un fatto di fuga. Quante volte diciamo: “quando leggo, scrivo”. Può valere per un periodo, ma non sempre. Sempre è una fuga, un desiderio di spostare la concentrazione sulla lettura per non scrivere. I fattori interiori però, questo non ci credevo prima ma è così, hanno una durata più breve dei precedenti. Posso controllarli, dando loro spazio e smettendo di lavorare per mancanza di concentrazione oppure vincendoli e farmi gioco di loro.

Qualche tempo fa ho dato ad alcune persone che mi seguono un consiglio per la concentrazione narrativa. Un esercizio di allenamento che serve soprattutto a scacciare l’impulso di distrazione.

Eccolo.
Provate stasera, o nel weekend, a riprendere un vecchio racconto o un manoscritto abbandonato, concentratevi su ciò che oggi questa storia può raccontare. Scrivetela con gli occhi, guardatela prima di buttarla via. Osservate la storia senza andare oltre la stessa. Cancellate l’ansia da prestazione, imponendovi di finirla al meglio. Date tutte le vostre forze di concentrazione a un testo che non avevate considerato. La gestione di un fuori programma può dirci di più del nostro metodo di scrittura di quanto pensiamo. Tenendoci meno, a quel testo, possiamo mettere alla prova le conseguenze della concentrazione senza farci da questa sopraffare.

Scrivere ci ricongiunge con la parte peggiore di noi. Almeno fino a quando non raggiungiamo l’obiettivo che è lo stesso motivo per cui lottiamo ovvero trovare la giusta concentrazione. Io adoro scrivere, mi ricongiunge con la mia parte ferita, antipatica, spezzata, infantile e drammaticamente adulta. Con i miei sbalzi d’umore, con le mie intemperanze, con i baci e con gli schiaffi.

Invito a scegliere delle parole, parole pazienti, e raccontare a chi magari semplicemente non ha gli strumenti per capirlo perchè non conosce gli aspetti creativi della scrittura, più o meno questo: “sto scrivendo il che significa che non posso aprire altri 700 file mentali perché tutta la parte del cervello che ho per creare adesso è impegnata a farlo perché deve concretamente produrre dal momento che c’è qualcuno che sta aspettando quello che sto per scrivere e che, si spera, mi pagherà per farlo”. Ma anche se non fosse una questione di lavoro e di soldi, anche se fosse una questione diciamo così d’amore, una scrittura legata al primo tentativo di scrivere il proprio romanzo, il consiglio vale lo stesso. Ricordatevi la protezione. Siamo esposti alle intemperie se abbandoniamo la nostra storia per mancanza di concentrazione, essere esposti alle intemperie significa farsi passare addosso le rovine.

Con il tempo ho capito che la gestione della scrittura e della concentrazione necessaria è un altro dei compiti che spetta a me. Vorrei trasformare il notorio egoismo di chi scrive in generosità, verso me stessa e verso gli altri. Sto provando a invertire i ruoli dando alle relazioni, all’amicizia, al vino e alle avventure terrene più spazio di quello che pensavo di poter dare e uso il resto del tempo per scrivere. È molto facile che in questo modo le due parti, vita e scrittura, si incontreranno, si sfioreranno e nessuna più disturberà l’altra. Nemmeno io.

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